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Ah quanto è difficile, cari amici, capire e farsi capire! – Di Luca Meldolesi

Forse da qualche giorno vi aspettavate un mio commentino. Non è così?

La verità è che ero “impossibilitato” dalla corvée pesantissima di un trasloco transnazionale… E ora che mi trovo di fronte alla pagina bianca mi domando cosa fare. Scelgo la forma sintetica di un’ implicita auto-intervista; e mi limito a qualche aspetto soltanto della situazione.

Cos’è successo? Quello che abbiamo visto tutti. L’elettorato ha bocciato sonoramente i governi recenti della Repubblica. E nel farlo, aggiungo, potrebbe aver riacceso (uso il condizionale) un certo nazionalismo italiano…

Due sono soprattutto le politiche messe sotto accusa: la politica economica e quella dell’immigrazione. La ripresa è stata troppo “scarsa” (si dice nel Sud) e troppo lenta; l’invasione è insostenibile. Non si può negare, a mio avviso, che sull’uno e sull’altro versante la critica contenga un aspetto importante di verità.

Eppure, nel disegnarle, quelle politiche, i governi hanno seguito le direttive Ue… Non è così?

In un certo senso… è così. Ma è necessario chiarire brevemente le colpe e le responsabilità. Perché purtroppo la legge europea non è uguale per tutti. Mentre i nostri governi si arrabattavano per ottenere un po’ più di flessibilità nell’applicazione di quelle direttive (e accendevano un cero al santo Draghi) la Germania di Schauble (come la Cina) continuava a perseguire la sua politica ferocemente mercantilista di elevatissimo surplus commerciale – proprio quella politica che sarebbe formalmente proibita dall’Ue perché spinge in deficit mezzo mondo, europeo incluso.

E perché, vi domanderete? Perché, mi pare la risposta, dopo la caduta del muro si è trovata a gestire l’Ue senza legittimità a farlo (per ragioni storiche prima che istituzionali), cosicché le è sembrato conveniente (ma miope) procedere… per via indiretta. Perché, trasformando le relazioni tra paesi formalmente uguali in rapporti di debito altrui nei suoi confronti, la Germania ha potuto dominare la scena del Consiglio Europeo, che com’è noto è a base intergovernativa, e “sovrasta” di diritto la famosa Commissione.

Ma allora, penserete, la strada era già segnata. Il nostro governo non poteva fare a meno di agire in modo scarso e lento. Niente affatto. Sono stufo e strastufo di dover scrivere da vent’anni a questa parte la medesima solfa (un’ideuzza di Alberto Carzaniga). Vale a dire che il governo italiano, che (non dimentichiamocelo) si diceva progressista, avrebbe dovuto riprodurre il più rapidamente possibile ciò che Germania e Francia avevano fatto da tempo. Vale a dire, avrebbe dovuto creare una banca pubblica con parte della Cassa depositi e prestiti ed attribuirle al passivo parte del debito. Un’operazione di maquillage che ci avrebbe consentito di uscire dalla spiacevole condizione formale degli ultradebitori, raggiungere il gruppo dei debitori medi (di cui fa parte anche la Francia) e poter partecipare con ben altro spirito al Consiglio Europeo.

Perché non è stato fatto? Perché le nostre preci accalorate sono cadute ripetutamente nel vuoto? Per ignoranza, per furbissima miopia? Certo. Ma anche per un’altra più importante ragione. Perché il nostro sedicente europeismo si era svuotato di contenuto. Invece di contestare l’applicazione diseguale di una legge europea che dovrebbe essere uguale per tutti (si pensi al martirio greco), i nostri governi hanno preferito fare orecchie da mercante, accedere per gradi allo “speriamo che me la cavo”, al “piegati giunco che passa la piena”; hanno preferito buttarla sul legislativo, sull’istituzionale, invece di impegnarsi a cambiare le carte in tavola a legislazione corrente, invece di spingere le amministrazioni nostre ed europee sulla strada federalista. Così, dopo un momento di speranza, passo dopo passo, si sono scavati (e ci hanno scavato) la fossa. Basso livello di domanda, basso tasso di occupazione, dispersione giovanile all’estero, incapacità di richiamare l’economia mondiale in Italia, poltroneria ma anche impossibilità materiale ad integrare i tanti migranti costretti a rimanere nel Bel Paese da disposizioni europee largamente eluse ecc. ecc.

Ma c’è di più. La verità è che nel tempo si sono andate perdendo le motivazioni più profonde della costruzione dell’Europa. Fateci caso: si parla sempre di pace intereuropea (che fortunatamente non è più in discussione) e di contare nel mondo, di essere un global player, di prosperità democratica – che tuttavia bisogna dimostrare in pratica, nell’andamento concreto: non è così?

Ora il punto è che da un certo momento in poi il processo di federalizzazione – che, non lo si dimentichi, deve voler dire cooperazione, liberazione delle energie, emancipazione, empowerment ecc. – ha cominciato ad invertirsi; e l’azione-reazione tra l’Ue, gli Stati membri, le loro regioni, province, comuni ha iniziato a “covare” invece una tendenza alla… dissoluzione dell’Europa. Al posto della solidarietà e della fratellanza sono spuntate le invidie e le maldicenze; le tendenze secessioniste e sovraniste (piccoli e grandi) hanno fatto la loro comparsa; i vecchi nazionalismi hanno annusato l’aria che tira, e così via…

Come capovolgere allora questa spinta per riprendere il cammino dell’incivilimento europeo? E’ una domanda che dobbiamo cominciare a porci. Ma è certo che non riusciremo neppure ad immaginare quella strada di salvezza europeista se non ci renderemo conto che nazionalismo e federalismo (quello vero, non quello contraffatto di cui tanto si è parlato) sono termini antitetici, in lotta perenne nel mondo che ci circonda.

L’aspetto politico-culturale, cari amici, ha una grande importanza al riguardo: ci ha “riempito la vita” nell’ultimo decennio – dalla campagna a favore del federalismo, alle grandi iniezioni recenti del colornismo-hirschmanismo. Purtroppo i nostri governi si sono mossi su altre lunghezze d’onda: non hanno capito (e/o non hanno voluto capire) che una vera interazione federalista interna, europea e mondiale avrebbe aperto un’epoca di autorevolezza e di ammirazione per l’incivilimento italiano ed europeo, ed avrebbe fatto un gran bene a “tutti quanti”….

Un saluto!

Luca Meldolesi

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